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lunedì 28 giugno 2010

Approdo a sud_uno

Altra musica, altro bar: non più la frequenza fissa su Controradio , ma un misto di musica che spazia dal bianco e nero ai colori fluo. Sono a Lecce, dentro a questa lingua d’Italia che sembra avere la faccia tosta di volersi reinventare in un paese paludato, incapace di cambiare stando con i piedi per Terra.
I bar qui si riempiono alle dieci, se arrivi alle sette e mezzo fai da apripista al nulla. Ma per me, che bighellono per le vie del centro, è un’occasione per trovare rifugio, per ascoltare, accolta, il vociare che aumenta piano piano, fino a riempirmi le orecchie, la mente, fino a scacciare via a forza un po’ di solitudine.
Questa sera avrei potuto scegliere di andare al cinema, non un cinema qualunque, bensì quello stra-pubblicizzato del festival del cinema europeo, e invece, ho preferito il bar, perché così mi sembra di stare dentro le cose.
Sono qui, in questa città nuova in cui iniziare a raccontare per me equivale a vivere.
Le facce sono tutte impreviste, non rintracciabili in qualche rete o storia. Non ho idea di chi siano le persone che mi siedono accanto: coppie? studenti? frequentatori casuali o abitudinari? leccesi oppure no?
I frammenti di discorso possibili vengono risucchiati a tratti dalla musica che ora si è fatta decisamente jazz, adatta a un bicchiere di vino rosso, più che al mio immancabile pastis.
Il vino rosso e il pastis appartengono a mio avviso a due mondi distinti: da un lato c’è la terra, pregna, densa baciata dal sole, stinta dalle tinozze di alluminio e servita su calici esteticamente ammiccanti, rigorosamente “in purezza”, senz’acqua; dall’altra c’è il pastis, anice all’ennesima potenza (in qualche variante affiancato a un pizzico di liquirizia), reso opaco da ghiaccio e acqua.
“Diritto all’opacità come segno della non-barbarie”! come diceva Eduard Glissant.
“Annacquare l’essenza, senza perderla”, è questo che mi piace del pastis. E’ un cocktail meticcio, ma non troppo. Non una mistura, come altri cocktail, bensì una diluizione lenta dell’essenza originaria. Come me, come questa terra, forse.
Mi ha colpito molto ascoltare qualche giorno fa una sorta di dibattito informale in un locale del centro tra vari musicisti, presentato da Don Pasta, gastro-dj salentino, espatriato, sul tema “violentare le tradizioni per salvarle”.
Per me che mi occupo per scelta professionale, ma soprattutto d’anima, di contaminazioni, di relazione tra differenze, dell’equilibrismo imperfetto e sempre in movimento tra identità e “altro”, era come stare a casa.
Mi ha colpito il pensarsi, l’affrontare la propria identità, quella del “salento”, spesso costruita dall’esterno, farci i conti comunque, toglierla dalla rigidità della “pizzica” in cui è stata collocata, per aprirla, farla respirare.
Lo trovo un processo bello, interessante, stimolante, ma soprattutto essenziale, necessario.
Un processo vitale che dovrebbe appartenere a qualsiasi essere, gruppo, associazione, società che abbia scelto e desideri vivere nel mondo così com’è oggi.
Essere e cambiare insieme, dentro allo stesso movimento, la condizione dello straniero, di chi si ritrova fuori dai codici, dai linguaggi.
Come nel mio caso del resto, anche se qualcuno potrebbe obiettare che è sempre la stessa terra, lo stesso paese, l’Italia.
Qualcuno che non si è ancora abituato all’idea che nello stesso vicolo convivano storie, paesi, origini, approdi.

Stasera ho trovato riparo in un locale-associazione che si chiama TRANSITO, sarà il nome, ma mi sento a casa.
Oggi c’è la partita, gioca il Lecce e le strade si sono svuotate, alcuni locali con lo schermo ultrapiattoultimagenerazione si riempiono, questo invece è vuoto: solo io e il “ragazzo del bar” .
Vento di scirocco, atmosfera ferma, la luce è quella di un lampione, coperta da impalcature, che però non ne placano l’effetto morbido, caldo.
Dietro e dentro di me suona la musicalità di questo dialetto, le note strascicate, sincopate, lente, appassionate.
E’ una solitudine bella. Un placarsi dei turbamenti. I pensieri più corrugati scivolano, si appigliano a un ritmo ondoso che mi arriva timidamente alle spalle.
Ritrovo il gusto del fuori, la devozione all’atmosfera del selciato vecchio di pietre consumate, vive, ai muri giallastri, porosi.
Ritrovo il piacere, ricercato quasi spasmodicamente, delle chiacchiere con gli sconosciuti, che, in qualche caso, si trasformano in pochi minuti in compagni di viaggio, frequentatori degli stessi pensieri.
Come mi è successo stasera con Vito. L’avevo visto già altre volte qua: capelli e barba lunghi, occhiali marroni e borsa di stoffa alla spalla. Mi interpella non solo perché sono l’unica avventrice del locale, ma anche perchè me ne sto accucciata sullo scalino a scrivere. “C’è ancora qualcuno che scrive?!”. La meraviglia dietro a questa frase ha sciolto la lingua e guidato felicemente la conversazione tra calligrafia, arte, sopravvivenza, resistenza.

Libri letti da quando sono a sud…

Le ristrettezze economiche, ma il pullulare del mondo interiore mi hanno guidato a una millimetrica decisione sui libri da leggere, scelta che è andata di pari passo con quella di “stare”. Ovvero trasformare il “semplicemente essere capitata per una serie di ragioni qua” in determinazione, voglia di esserci, di ascoltare, di farmi scoprire, deludere e poi ancora stupire.

Il pensiero meridiano di Franco Cassano
Fanculopensiero di Maksim Cristan

(pubblicato su Il paese nuovo, Quotidiano del Salento)

martedì 15 giugno 2010

PRINCIPI ATTIVI 2010, ULTIMO GIORNO, LA CONSEGNA

All'ultimo decido di prendere la macchina, consolata dalla linea quasi retta che collega lecce a bari.
Ogni tanto l'umidità fa scrosciare qualche goccia improvvisa, che scompare dopo poco. Ho il Plico nella borsa: il bustone con dentro le due bustine. Vado a proporre un Principio Attivo, ascolto radiotre. E' una giornata speciale perchè tutte le trasmissioni del giorno vengono condotte da 'stranieri' o amanti dell'esserlo. Mi accompagna Igiaba Scego con le pagine culturali dei giornali, sento che è di buon auspicio.

Arrivata a Bari finisco in un angolo di discarica urbana, mi trattengo dal cercare qualche rimasuglio di mobile da far entrare nel bagagliaio per trasformarlo in qualche cosa che per ora mi sfugge, ma magari un giorno mi verrà in mente. E' la smania, l'ansia della trasformazione, la speranza che quello che oggi non sai, non riesci, non hai la tecnica, domani invece si, arriverà l'ispirazione, il rantolo di abilità autodidatta e avverrà il passaggio: un oggetto nuovo, inedito, che conserva le tracce di vecchio.
Il camion di operatori ecologici mi scorta sorridente in via celso ulpiani 10, una delle sedi della regione puglia, quella dell’assessorato alla trasparenza e cittadinanza Attiva.

Scendo un po’ emozionata, la via è piena di persone con Plichi sotto braccio. Ci accoglie un’atmosfera di festa, il sole, un venticello leggero, l’umido appiccicaticcio. Mi ferma una ragazza sorridente ai bordi di un tappeto rosso che conduce dritto all’angolo ‘consegna candidature’. Mi colpisce la cura con cui il tappeto rosso è stato coperto, per proteggere i Principi Attivi dal sole. Mi dice che devo compilare il foglio con l’ora di arrivo. Ore 10.00, tonde tonde. In pochi minuti consegno il plico. Rimango un po’ lì ad aspettare…tutto qui? Il ragazzo sorride, anche lui, e mi dice in bocca al lupo.

Nell’aria musica cubana che mi intrappola, mi dissuade dall’andarmene subito. Allora mi siedo, con la scusa di aspettare i miei amici e il loro Plico. Ai lati alcuni dei Principi Attivi dell’anno scorso: una radio libera, una mano tecnologica per audiolesi, i corrieri in bici e, immancabili, il gruppo pizzica, pizzica con tamburello, violino, fisarmonica.

Mi siedo all’ombra in uno dei tavolini messi a disposizione per le ultime compilazioni, divento una sorta di dispensatrice non autorizzata di informazioni. All’ultimo minuto si è presi dai dubbi più strani: andrà bene la firma in questa direzione o è meglio in questa? Usare una penna blu dopo aver usato la nera? nel cdrom in allegato tu ci hai scritto qualcosa sopra?

Mi viene da rincuorare, sorridere, dai che andrà bene….

L’ansia di alcuni si trasforma in un attimo di vera gioia dopo la consegna, quando ti giri e il red carpet ti accompagna all’uscita. Lì in quel punto ho visto gesti di vera vittoria, respiri sonori, sorrisi ammorbiditi, abbracci. E’un attimo, dura un attimo, ma sei felice perché ce l’hai fatta: hai portato la tua idea per una puglia migliore.

Certo ci sono i dubbi, le perplessità, il rischio: 1700 progetti alle 12.00 per un finanziamento dimezzato grazie alle politiche giovanili governative, poche possibilità di farcela, ma il punto non è questo.

In questa realtà che non ti consente neanche di provare a sognare, pena essere tacciati di irrealismo, utopismo, addirittura infantilismo, qualcuno ti dà la possibilità di dire la tua, di sudare per dare gambe a un’idea, trasformarla in cifre, risorse, fattibilità, ti spinge a conoscere dove la stai mettendo la tua idea, in quale terra poggia, cosa c’è prima di te, come influirà il contesto su quello che hai pensato. Addirittura ti viene chiesto di andare oltre l’oltre, buttare lo sguardo alla fine di quel progetto che non c’è e forse mai ci sarà, per immaginare come portarlo avanti finito il finanziamento.

E’ un esercizio di sguardo, una sana ginnastica per lo strabismo necessario a sopravvivere in questa italia, volendo vivere: un occhio a quello che c’è, alle presenze, alla terra, alle magagne e l’altro per forza, per vivere oltre la sopravvivenza, oltre.

Oltre quello che vedi, poggiandoci i piedi senza farti risucchiare, per salvaguardare l’orizzonte.

Salvaguardare le tue capacità, anche quelle non vendibili, le risorse che il mercato del lavoro continuamente rigetta, i vomiti del sistema diventano preziosi, gli scarti, quelle bellezze inutilizzabili, la passione. Ecco nel Plico ci hai messo questo, hai voluto dar forma a qualcosa che di solito è spacciato. E ci hai pensato, hai sofferto, per andarci sempre più a fondo, trovarne le criticità, stanarle, curare i dettagli, la forma, rileggere le istruzioni venti volte, perché un errore formale sarebbe imperdonabile in quell’ esercizio di passione.

E allora anche solo per un attimo sei felice, ti va di respirare quest’energia, questa attiva rilassatezza che ti avvolge ora che hai consegnato il tuo Plico, un Principio banale, ma necessario di trasformazione attiva.

L’ispirazione creatrice, l’ oggetto nuovo, inedito, fatto con le tue mani, che conserva le tracce di vecchio.

Il professor Onofrio Romano, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bari definisce questo progetto e altri come strumenti vecchi, già falliti che non trovano rispondenza sul mercato e generano solo fallimento e frustrazione[1].

Da straniera di origine marchigiana, vissuta per anni nella progredita Toscana, mi permetto di dire che riuscire a presentare un progetto, per altro con un bando strutturato molto bene, in maniera semplice, ma non banale, da indipendente senza avere il cappello di un’associazione è cosa che in Toscana non riuscivo a fare.

Sicuramente ci sono ragioni fondate di critiche, ma la mia domanda è: ”Qual è lo strumento nuovo?”. Quanto alla frustrazione ci conviviamo quotidianamente, e quotidianamente lottiamo per salvare almeno la nostra dignità e le nostre risorse e competenze, e di certo l’ambito accademico non aiuta.

Se non vogliamo costringerci a sacrificare le potenzialità noi esseri giovani, pensanti e desiderosi di fare, in questa italia ‘piccola’ e triste, l’autocostruzione è l’unica via.

Allora Principi Attivi forse serve a farci accorgere di questo, a non mollare.

Utopia, immaturità, mancato senso di realtà?

Sono straniera in questa terra del sud, ma ieri ho potuto ‘parlare’ con la mia voce, è andata in onda una trasmissione speciale. Forse durerà solo un giorno, ma come dice Franco Arminio, parlando del festival Cairano7X nelle montagne irpine, lo facciamo “per procurare e procurarci qualche attimo di bene”[2].

Maira Marzioni

Lecce, 15 giugno 2010



[1] Quotidiano 20Centesimi, p.3, 15 giugno 2010.

[2] http://www.cairano7x.it/.