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mercoledì 20 ottobre 2010

Approdo a sud_sei

Nel tentativo di esaurire un luogo leccese

Le giravolte a Lecce sono il luogo di cui non conosco l'estensione, non riesco a possederne le strade.
Ero convinta che fosse quello, quell'accrocchio di vie in cui mi sono persa la prima volta che a Lecce ho lasciato le strade sicure del centro consumato addentrandomi dove non ci sono bar o insegne a rassicurarti, ma solo selciato, balconi, pietra dei muri.
La volta che ho scoperto un teatro romano; quella in cui ho visto una vecchissima Ford bordeaux parcheggiare in un vicolo per far uscire lui, forse il figlio, con camicia nera e catena al collo, e lei, la madre, forse, con la crocchia grigia nei capelli, gli abiti scuri e la sigaretta in bocca.
Oppure la volta che mi sono ritrovata sotto un cielo di quasi tempesta in un piazzetta con panchine e palme, chiusa su tutti i lati, ho letto Conservatorio di sant'Anna e intuito un giardino dietro alla grate di un cancello chiuso. Deserta la piazza-cortile, solo venditori di ombrelli che uscivano e entravano, cercando affari nell'odore di pioggia che saliva dalla strada.
O quando in una mattina di sole settembrino mi sono seduta nell'uscio di una porta attirata dal nome: Piazzetta Arte della stampa. Urla di muratori provenienti dal vicolo e di fronte l'incastro di case basse, pietrose che cullano terrazzini piccoli, giardini appesi, curati nell'intercalare dei colori delle piante. Una delle case all'angolo agghindata con vasi di fiori finti, una malinconica finzione che però stranamente non disturba.
O ancora la mattina in cui seguendo il vociare di un vicolo sono arrivata in Piazzetta Regina Maria ed è stato subito chiaro ai mie occhi che la regina era lei.

Il suo trono è una suntuosa poltrona di pelle rossa, coi braccioli feriti e curati da nastro adesivo nero.
Da vera regina Maria nelle giornate tiepide come questa sposta il suo trono all'esterno, nel cortile antistante la sua casa a pianoterra.
Maria odia i gatti neri e lì scaccia con fare autoritario battendo uno scopettone nel muro del palazzo, per poi tornare dolce e sorniona, viso paffuto e occhi vispi, nel mondo fiorito della sua vestaglia azzurra, chioma riccia, lunga e cotonata, da vera regina.
Essendo sua la proprietà morale della piazza apostrofa Lorenzo e il suo ape della frutta con quel suo dialetto pastoso, grasso.
Quando Lorenzo se ne va col suo catorcio arancione stipato di frutta e sopra al tetto due carrelli del supermercato, saluta Maria, quasi ringraziandola dell'ospitalità.
La regina Maria ha il suo personale garzone, un ragazzotto corpulento col berretto in testa che le porta via la spazzatura; per il resto è una regina moderna che pulisce e cucina da sola e ogni tanto si concede l'ozio sull'uscio. Regina tra casa e piazza.


Sono convinta di entrare nelle giravolte ogni volta che percorro via delle vecchie beccherie, stradina puzzolente, con una luce che s'accende di notte quando passi, stradina che parla quasi sempre lingue "altre", facendo da sfondo perfetto al palazzo arabo, nelle finestre e negli ornamenti, che si intravede oltre il muro. Quella che mi ha fatto incontrare una volta la bambina dai tratti africani bellissima che correva a piedi nudi e dietro di lei uno scorcio di soggiorno con varie ciabatte a penzoloni dal divano. La stessa che dalle donne straniere sedute sull'uscio a parlare mi ha portato, passando per una farfalla che volava con un'ala soltanto, alla melodia incomprensibile, ma intonata di due ragazzi esteticamente filippini seduti sui gradini dell'ennesima casa a pianterreno con una chitarra in mano.

Ma poi qualcuno mi ha detto che stavo sbagliando, che quello non era il vero "cuore" delle giravolte.
Mi hanno indicato un nuovo accesso, quello dopo il convitto palmieri andando verso la stazione.
Ho imboccato quella strada una sera, già notte, e mi sono stupita del fatto che non avevo mai camminato in nessuna di quelle vie.
E' come se fosse impossibile imboccare ogni vicolo in cui si vorrebbe entrare, sia ha la sensazione che le diramazioni siano infinite.
Bisogna correre il rischio di addentrarsi lì dove un balcone, un lampione o un batik steso catturano l'attenzione sapendo che probabilmente non si arriverà da nessuna parte, bisognerà fermarsi e tornare indietro.
Trans, prostitute, albanesi, immigrati arabi, retate della polizia, La Mara, più di una persona racconta la sua versione delle giravolte, con stupore, ammirazione o disagio, come se in quel labirinto di pietra ognuno potesse ritrovarsi, ritrovare i propri fantasmi, le proprie paure, o la voglia di godere del calcinaccio, della crepa più vistosa, delle vite non perfette.
Le giravolte non hanno confine.
Ognuno ne vede il cuore lì dove il suo batte, non importa se di paura o meraviglia.

Libri letti da quando sono a sud…

“La malapianta” di Rina Durante
“La Foto di classe. U uagnon se n'asciot” di Mario Desiati.