Ad Aliano i primi panini dal forno
escono alle otto e mezzo della mattina. L'aria è fresca oggi, è
presto, ho dormito poco, ma capisco che alle otto un paese è più
chiaro che alle undici, si mostra, vive componendo necessità, alle
undici è già un'altra cosa, è diventato già più superfluo.
Ieri sera Antonio, col sigaro mezzo
acceso e mezzo spento in bocca, quando ha sentito che c'era Infantino
e i tamburellisti di Tricarico è impazzito dalla felicità. Era
accanto a me, ero felice anch'io a guardarlo. Stamattina lo vedo con
la carriola e la scopa che pulisce il marciapiede.
Le donne alle otto di mattina ad Aliano
hanno i fazzoletti in testa e il viso di corteccia; sono bellissime
senza retorica, con la naturalezza dei graffi dei calanchi,
dell'acqua fresca dalle fontane del paese, delle variazioni di pietre
che compongono i muri delle case.
Una sta seduta in fondo alle scale di
casa, sul ciglio della strada e pulisce la verdura, un'altra con la
veste blu si aggira con un secchio azzurro e dei panni dentro. Con
mia sorpresa la vedo al bar poco dopo, un ragazzo del paese le ha
offerto il caffè. Lei se la ride.
Penso che sia la prima volta che vedo
una donna di corteccia al bar.
Amo il salato la mattina.
Vedo Pasquale, fotografo di Potenza e
guidatore lento di furgoncino, mangiare una focaccia, mi indica la
tenda del Panificio Scelzi. Ad Aliano tanti hanno per cognome Scelzi.
Dentro ci sono Giuseppe e Maria e tutto
quello che fanno è senza dubbio corpo di Cristo.
Il calzone con le bietole di Maria e
Giuseppe è una sacralità. Le biete sono quelle congelate
dall'inverno, Maria le cuoce e le condisce col loro olio la mattina,
mentre Giuseppe impasta, tutto rigorosamente con lievito madre. Sia
benedetto il figlio allora!
***
Ad Aliano per tre giorni le visioni di
un poeta hanno dato forma a un festival anomalo, un delirio diffuso,
che ha coinvolto menti, mani, corde, fiati, voci del sud più vario e
del nord meridiano dentro.
Si sono strette le mani dei vivi e dei
morti: Rocco Scotellaro, il cacciatore scambiato per quaglia, i
tamburi di Tricarico, la nostalgia riabilitata a sorgente, la
malinconia elevata a orizzonte, il migrante del 1907 nella voce di
Ulderico Pesce, i ragazzi di Paola, le donne che sbattono nella bara
nel film di Luigi di Gianni, Carlo Levi, la cortaglia ovvero
letame di greggi che a maggio concimava i campi, la cantantessa
lucana Caterina che fa piangere la pietra dei calanchi, Francesco del
bar demoniaco, Antonio Infantino che è sciamano italiano e non
riesce a pagare le bollette, la pizza sfornata alle due di notte, le
chiacchiere con Biagio che me lo dice da amico a tredici anni che non
me la posso proprio perdere la Madonna di Viggiano.
Un festival sgretolato e vivo,
inoperoso e denso di poeti e parlatori, bello quando
intellettualmente debole si è dato, perchè visceralmente prospero.
Ho apprezzato chi si è confuso tra il
partecipare e lo stare sul palco, chi ha donato i passi alle pietre
come tutti, pure se ha presentato sanremo, chi non ha detto niente,
chi mi ha fatto regali: un passaggio in macchina dal Salento, i
taralli al finocchio, la pesca, l'amore, la poesia Twenty-two con
fiocco di tulle arancione, un materassino per dormire meglio.
É
la coralità densa e scalcinata che ha fatto speciale questo
festival, assumendo la stessa postura di un paese, che sussurra ogni
giorno vagiti di comunità possibili, che impasta la necessità alla
bellezza delle pietre, delle porte ammaccate, delle case vuote, dei
tronchi di albero col fazzoletto sopra dove si siede la signora della
macelleria.
***
C'è saggezza nell'impasto,
cibo-paesaggio, mistura fatta di mani e conoscenza della terra,
perchè se la farina non è buona e l'acqua nemmeno non viene, il
tempo è fondamentale e la pietra del fuoco pure.
Allora provo a dire cosa vorrei di
altro per arrivare alla dignità splendente del calzone alle bietole
di Maria: il cibo, procurato dai contadini della zona, cotto nei
forni sparsi per Aliano, memoria visibile di quando il pane era
ancora comunitario, perchè un paese lo si capisce se lo si può
anche mangiare; le donne col fazzoletto al bar, perchè i paesi del
sud e i suoi pensatori spesso le donne le hanno dimenticate, ma erano
quelle che sbattevano nella bara, che davano gesto al dolore, le
levatrici di atti poetici quotidiani; i giornalisti e gli
intellettuali famosi che parlano soltanto dopo che hanno camminato e
sudato come tutti; gli artisti non noti che danno voce al paesaggio,
che non compaiono sui giornali, ma producono per necessità sguardi e
forme; fogli di poesie e frammenti nelle panchine e nei bar di
Aliano, voci provvisorie di un attraversamento composto e profondo;
più gradini meno palchi; più tremore, meno statistiche; più uomini
stanchi che uomini bambini; più occhi meno macchine fotografiche;
più silenzio meno proseliti.
Proliferazione di mani e di menti,
tessiture di donne.
Che ad Aliano si sappia che è bello,
come mi diceva il farmacista, che il paese per qualche giorno sia
vivo e che per esserlo non occorre aumentare l'offerta di gadget e
souvenir, ma ritrovare la voce artigiana, il canto delle pietre, le
cotture sul fuoco d'inverno.
Di solito nei paesi c'è già tutto,
solo che non lo si sa.
Poetica visione è favorirne il
risveglio, amplificare le storie, i cornicioni, i peperoni appesi, le
donne corteccia.
L'Italia interna allora forse sarà
quella che, dal mare alle montagne, sa stare dentro sé così come sa
quando dare voce; quella che conosce carnalmente il ritmo del cuore
tamburo, finchè c'è e pure quando non c'è più.