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sabato 18 settembre 2010

Approdo a sud_cinqueTRATTATO POSTMODERNO semi-serio sul caffé

Trovo l’”espressino” la versione postmoderna meglio riuscita di caffé.
Non è cappuccino, icona italiana per turisti, neanche caffé macchiato, spruzzata di pudore a ingentilire, inventato dai milanesi.
Non è l’identità stereotipata affibbiata al “marocchino”, derivante peraltro non dal caffé, ma dal bicerin piemontese.
L’espressino è espressione di pluralità. Formazioni diverse sotto un unico nome, incline a varianti.
Sfumature che mutano da bar a bar, da paese a paese, diversi punti di vista per la stessa combinazione: caffé con uno strato di latte e….
L’espressino ha primariamente gradazioni di temperatura: caldo, con crema di latte fredda, freddo.
Su questa se ne innestano altre soprattutto nella gradazione mediana.
A Lecce la crema di latte è una sorta di gelato al fiordilatte un po’ più sciolto.
In un bar di Nardò con lo stesso nome designano invece una crema densa, una sorta di mousse, impreziosita da granella di nocciole al caramello, cioccolato liquido e un biscotto.
Ecco allora che, in questo caso, il caffé diventa pasto. Si arriva all’amaro nerastro solo dopo aver intinto il cucchiaio in una coltre protettiva che non scardina l’aroma del caffé, semplicemente vi si adagia sopra.
In molti bar aggiungono cacao, alcuni solo in superficie, altri anche nel caffé. Gli strati allora diventano caffé, cacao, latte e cacao.
A Bari ho assaggiato un espressino che covava in sé un cuore di imprevedibilità. Oltre alla crema di latte questa volta calda macchiata dal cioccolato fuso, sul finire della tazza è comparso un pezzo di cioccolata fondente spezzettato, a chiudere con golosità senza alterare la punta di amaro che rimane in bocca.
Il caffé è la base, la melodia principale a cui tutto il resto fa da coro, da controcanto, da accompagnamento.
D’altronde qua sono tradizionalmente esperti di sperimentazioni da caffé. Si racconta che il caffé con ghiaccio sia stato inventato dal sig. Quarta in persona, grazie al desiderio di unire la tonicità del caffé alla freschezza necessaria nel caldo salentino. Adottò questa formula per far sì che il ghiaccio sprigionasse la sua efficacia senza annacquare l’ingrediente principale.
Delicato equilibrio.
La variante goduriosa è quella di impreziosire il caffé con ghiaccio con latte di mandorla.
Il liquido biancastro penetra leggermente nel buio pesto e rilascia un aroma delicato che ancora una volta si colloca tra amarognolo e dolce, unione d’opposti.
In tutte queste espressioni la sostanza eccitante per eccellenza subisce aggiunte, incastonamenti, assume mille forme, si adatta ai contesti, al clima, perde la sua purezza senza rinunciarvi.
L’espressino è un inno all’ibridazione, un superare le categorie latte e caffé senza snaturarle, ma arricchendole, un modo per “conservare l’identità remota rendendola ambigua”.
Ma la vera trasformazione del caffé, il camuffamento massimo è l’espressino freddo che diventa in molti casi una sorta di “coppa del nonno” liquida, uno di quei gelati storici in tazza marrone scuro, cha consentiva anche da bambini l’accesso alla sostanza “del diavolo”.
Qui gli strati non esistono più, il nero del caffé è diventato un uniforme color nocciola.
L’espressino freddo rappresenta, nell’elogio postmoderno del caffé, il movimento, la fase del cambiamento, il margine, la “crisi”, nel senso orientale di possibilità di trasformazione, la catastrofe feconda, il momento di suspance quando il caos creativo si prepara a inventare e costruire nuove forme.
Alla caffeomanzia il compito di interpretarle.

Libri letti da quando sono a sud…
“Amorosi sensi” di Rina Durante
“La tazzina del diavolo. Viaggio intorno al mondo sulle Vie del Caffé” di Stewart Lee Allen.