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sabato 28 gennaio 2012

C'E' FUOCO E FUOCO alle pendici della Fòcara di Novoli.



Vado a Novoli con la luce del primo pomeriggio a vedere l'inizio dei Giorni del Fuoco.
Dalla stazione seguo il flusso delle bancarelle, alcune già pronte, altre in allestimento. Le cose che mi destano interesse sono: le bancarelle con gli attrezzi da ferramenta, i sempre-verdi pesci-rossi, i banchi con tanti pacchi incartati tutti uguali a due euro l'uno che, intelligentemente, vendono il sentimento della sorpresa.
Guardo in alto, cerco la punta della pira. È la prima volta che vengo a  vederla, ma so dai racconti di città che è la più alta d'Europa. Dopo poco dietro la linea continua di Michael Jackson Kebab, Gloria Gaynor Crepe e Panini Alba Chiara, mi sembra di vederne un pezzo. Accelero il passo tra salsicciotti di carne incellofanata, montagne di cipolle sul fuoco e scatole di panini ancora da immolare.
Eccola, mi appare, per un attimo dimentico l'odore di grasso che brucia, mi incanto davanti a questa torta fatta di rami intrecciati. Ci sono scale di legno che la tagliano trasversalmente in cui salgono gli uomini del fuoco a posizionare torcioni e fuochi d'artificio. Mi sembra di aver già visto questa scena in uno di quei libri in bianco e nero con le immagini dei gironi danteschi. La pira è una specie di inferno al contrario, un paradiso del fuoco viscerale. Seguo uno degli artificieri che arriva fino alla punta più alta, sfiora l'icona del santo e arriva alla bandiera. Già il santo, Antonio.
 Mi torna in mente la processione, allora mi allontano dalla pira e vado alla ricerca della chiesa del santo. Nelle vie attigue, già in odore di santità, sfilano i banchi pieni di dolciumi Assenzio. Arrivo giusto in tempo per il viaggio allucinogeno,  la faccia scura del santo sta appena uscendo. Nel piazzale lo spettacolo è tra il ridicolo e il commovente. Mi piacciono le parole del prete tutte dedicate agli animali: quelli salvati dall'arca, quelli amici dell'uomo, gli animali da lavoro. Di tutto questo nei paesi rimangono però solo cani, molti vestiti a festa, come i chierichetti il giorno della comunione, con sciarpe colorate o cappottini maculati, per lo più cani di media taglia, molti di razza. L'unica variazione qualche canarino o pappagallino in gabbia. Mi tornano in mente le parole di Arminio, il paesologo di Terracarne :«Adesso nei paesi è impossibile trovare un uovo fresco. Una volta c'era un maiale davanti ad ogni porta. Adesso gli unici animali che si vedono in giro sono i cani randagi. E la gente non vuole vedere neanche quelli». Ero sicura che a Novoli, nel Salento di terra e sole,  almeno una gallina l'avrei vista a farsi benedire dal santo, e invece nulla, la campagna non c'è e anche la devozione stento a sentirla. Torno alla pira, in cerca di spirito. Assisto a una lite tra due donnone africane con i maschi che cercano di "domarle" e una vecchietta aldilà di una vetrata piena di quadri che fa segno con il dito di fare silenzio e indica la strada. Eccolo, il santo sta per passare attorno alla pira, anche lui sicuramente in cerca di fiamme vive, dopo i cani da cortile. A precederlo una serie di signori in bianco con il mantello porpora e donne in nero con mantelli più scuri e fiaccole in mano. Spicca anche la bandiera d'Italia e quella d'Europa degli scout. Dagli altoparlanti escono litanie a cui quasi nessuno risponde. La processione viene interrotta dall'arrivo di un vecchio signore a bordo di un carretto tutto addobbato e trainato da un cavallino bianco. Subito conquista la scena: fotografi, scout, persino le signore in mantellina; lui non pago della scena scende e attacca la sua radio, nel giro di un secondo la voce di Albano sovrasta i rosari. Il santo passa e sembra non curarsene, ma gli uomini bassi e anziani che lo sorreggono tentennano, si fermano e con pudore riprendono lenti il passo sotto al peso di Antonio, non sarà certo un Albano a fermarli. Sfilano dopo il santo divise varie, rigorosamente maschili, e una banda stanca. La sfilata sfiora la pira e si allontana, il santo lascia il suo alter ego impavido abbarbicato sui rami, incurante del pericolo, una vera icona del fuoco.
Il seguito è tutta un'attesa, attesa che il fuoco arrivi a riscaldare. Nel frattempo trovo il mio personale rifugio nell'unico bar della piazza; con questo freddo e il pergolato di legno mi ricorda una baita di montagna. Lo trovo perfetto, mi siedo sulle sedie di plastica fuori e mi sento attorno al camino che sta per accendersi.
Mi manca la compagnia, ma di lì a poco scoprirò di averle proprio sotto il naso le compagne ideali. In un corteggiamento lento e continuo entro a far parte del gruppo di signore venute apposta in pullman da Brindisi. Inizio cedendo la sedia a una di loro, poi se ne libera un'altra, mi siedo e allora diventiamo ufficialmente un gruppo. Curiosano nel contenuto dei miei bicchieri, a una faccio assaggiare un pochino di tè caldo al rum, gradisce. Ogni tanto entra a far parte del gruppo una ragazza rom che vende calamite colorate appoggiate al retro di una teglia di alluminio. Le signore si perdono ammaliate nella tavolozza di colori e a più riprese si riempiono di polipi, barche e finte padelle con cibo da attaccare al frigo. Le amiche sono tre, ognuna diversa dall'altra: c'è quella burbera che però ogni tanto si scioglie, la signora silenziosa e sempre sorridente e infine lei, la vera calamita. Mi offre un panino con i pomodori secchi buonissimo, dopo un'ora mi racconta la sua storia: è di Ostuni, si è sposata a 49 anni perché prima ha voluto divertirsi, ora è rimasta senza marito, figli non ne ha. Di lì a poco mi lascerà il numero di cellulare, vuole che la vada assolutamente a trovare a Brindisi, dice che ci penserà lei a portarmi in giro e ha pure un letto in cui ospitarmi, due giorni, tre, quanto voglio.
Lei si chiama Stella Cavallo, ha quasi ottant'anni e se non è fuoco quello che la fa ardere non saprei come chiamarlo. E' l'anima giocosa del gruppo, fa ridere tutte; le altre un po' la prendono in giro e un po' le invidiano quel piglio senza paura con cui apostrofa tutto e tutti. «Hai visto quest'anno hanno messo i cavalli?! Ci dovevo essere io lassù, che sono Cavallo». Si lo penso anch'io, altro che santo. Suggelliamo l'apoteosi della nostra sintonia quando la banda di Roy Paci inizia le prove e vedendomi scuotere le spalle, si alza come una molla e inizia a farmi ballare. Lei si muove come una pulcinella di mare, zompetta, alza le mani. «Vedi se c'ero io lassù (nella pira, con i cavalli) a quest'ora volavo, volavo, volavo!».
Tre colpi, un suono di tromba, ci alziamo dalla sedia, Stella è accanto a me, la pira è accerchiata da una gran folla, inizia la danza dei fuochi, gli attacchiamo gli occhi addosso,  mi sembra di sentire il suono delle bocche che si aprono stupefatte: "Mamma mia, ma quest'anno è più bella dell'anno scorso!". Mi meraviglio anch'io, per contagio.
Quando la danza finisce sento che la mia festa del fuoco è finita. Il mio gruppo se ne va, corre a prendere il pullman, saluto Stella abbracciandola. Tenterò di riacquisire ardore con la musica, ma quel fuoco appena accennato che infiamma la punta della torta non riuscirà a riportarmi a quella sensazione.
Ho visto lo spirito del santo e stava dentro agli occhi di fuoco di una donnina ottantenne, mi ha fatto devota in un attimo.
Vola, Stella, Vola!

domenica 8 gennaio 2012

mercoledì 4 gennaio 2012

martedì 3 gennaio 2012