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martedì 21 giugno 2011

Piccola storia della pasta madre Compagna Teresa



Compagna teresa è di madre toscana
e padre perso in ignote geografie.
Il fatto di non conoscere l'esatta origine del padre
non ha mai turbato teresa,
anzi  le ha donato un carattere speciale.
L'ha fatta fiera di portare tra i grumi e le bolle
un meticciato misterioso e affascinante.
Anche la madre ha certamente influito in questo:
pisana per circostanza
ma girovaga per indole.
Compagna teresa grazie alla sua particolarità
ha resistito a forti momenti di solitudine,
trasformandoli in occasioni per insoliti incontri.
Ha sviluppato infatti legami inediti
con pomodorini secchi, capperi, zucchine,
trovando in ciascuno
un colore, un odore, un effluvio
da ingoiare per rimanere viva.
Anche in giorni di forte inacidimento,
con l'animo colitico,
è bastato a Compagna teresa
un piccolo sorso d'aria
per ritornare
baldanzosa
a fomentare pani di ogni colore.
E' capace nei momenti di massima ariosità
di donare anche alla massa più pigra e introversa
un brivido di delizioso furore.
Compagna teresa
dopo un lungo periodo di permanenza calda e affettuosa a livorno,
dove l'aria del mare
e le coccole a profusione
l'hanno decisamente addolcita, senza scalfirne la forza,
è arrivata in aereo a sud.
Ama moltiplicarsi e aprirsi al mondo,
non teme
nuove compagne,
farine tenaci,
arie sconosciute,
dalle quali invece
trae
nuova capacità di fermento
per odorosi pani.



Sono ISOLA BALLERINA

Sono ISOLA BALLERINA


Incontro
Sola
Ogni
Lamento 
Ancestrale

Ballo
 Ancheggiando
   Lascio
                                 Libere
              Emozioni
Restìe,
 Istanti
 Neri
      Ascolto.



sabato 11 giugno 2011

TRA PRECARIATO E INFERNO vagiti scomposti di "invisibili" alternative


L'inferno dei viventi non qualcosa che sarà;
Ci hanno raccontato che a seconda delle malefatte, delle azioni brutte, ci saremmo ritrovati in qualche girone infernale tra demonio e fuoco. Dopo un breve periodo di senso di colpa abbiamo iniziato ad avere voglia del fuoco. Abbiamo capito però che il vero inferno ce lo propinava quotidianamente chi non voleva farci essere fuoco.
Il fuoco creativo ad esempio. Era infernale nel qui e ora farci ingoiare idee, sogni, mani pruriginose per il desiderio di fare, passioni. O peggio ancora convincerci a venderle a qualche mercante del tempio, guru artistici o letterari a cui sacrificare carne giovane e malleabile.
O peggio del peggio, perché i gironi sono tanti e si inabissano, dimenticare le mani, il cuore pensante, e entrare in maschere precostituite, giacche da indossare in qualche call center, i più sfigati, o venditaRappresentanza di qualsivoglia bene inutile, i mediani, o magari team leader, marketing marchettaro, manager senza borsa, i più aderenti alla giacca.
L'inferno c'è arrivato da ogni lato: da chi ci prometteva la realizzazione meritata da intellettuali quali saremmo diventati presto o meglio tardi, e da chi ci si è offerto come cloaca dell'anima, per illuderci di essere economicamente indipendenti, ma schiavi nel cuore.
se ce n'e’ uno e’ quello che e’ già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Quotidianamente sentiamo dentro le vampe di un inferno che ci logora, ci mangia il fuoco creativo, divora la valigia coi sogni. Cerchiamo appigli, compagni, anime ancora viventi a cui attaccarci, con cui sognare. E anche qua ci viene un dolore in mezzo al petto, perché nell'inferno in cui ci hanno messo viviamo tutti un po' morenti. Ammaccati, delusi, indecisi, impotenti. Lo stare insieme ci consuma invece che darci vita, ci invecchia e il dolore aumenta.

Due modi ci sono per non soffrirne.
Scopriamo allora che qualcosa va fatto. Ci vuole in modo per bruciare invece che farci bruciare. Per ardere, bruciando idee per dargli forme, forgiarle col fuoco sacro delle mani, per alleggerire il dolore, consolare il peso del cuore. Dargli ali per volare seppur ammaccato. Ben presto capiamo che per farlo abbiamo due modi.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Da una parte il volo solipsistico. Il lanciarci in percorsi ardui, fare mille corsi, aumentare il curriculum, iniziare una folle corsa per liberarci dall'inferno impostoci e trovare la nostra personale realizzazione. Mettersi in proprio, impegnarsi a diventare veri esperti di fuoco creativo, intellettuali riconosciuti, cercare gli agganci giusti, presentare a tutti quello che facciamo. Diventiamo un biglietto da visita ambulante, siamo i passi che abbiamo fatto per scrivere quell'ulteriore sofferta riga nel memoriale della nostra vita professionale.
Ben presto ci fondiamo con l'inferno, illudendoci però di aver salvato il nostro fuoco creativo. Ci perdiamo, convinti di esserci trovati, incuranti del fatto che intorno abbiamo un deserto di relazioni, vuoti emotivi non colmati che sfoghiamo in vario modo, una vita quotidiana consumata a panini e pasta scondita. Il mondo inizia ad interessarci solo se ci serve, se è utile a fare un passo in più verso un agognata ascesa di sé stessi. Pochissimi ci riusciranno, arriveranno soli al traguardo, i più si ammaleranno prima.
Il secondo e’ rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:
Dall'altra parte possiamo scegliere di lasciar perdere. Molliamo la presa, tiriamo i remi in barca. Usciamo da una giostra che ci fa vorticare allontanandoci dal centro, da quello che sentiamo, dal famoso fuoco. La fiamma, il respiro. Destrutturiamo tutto: acquisti, macchina, velleità strane, viaggi esotici, orizzonti futuri, buste di plastica.
Ci puliamo e attendiamo. Qui e ora ci guardiamo intorno, vogliamo capire, curiosare, annusare, spalmarci un po' di balsamo sulle ferite per risentire di nuovo l'aria che drizza i peli lì dove la cicatrice ci aveva anestetizzato.
Ci sentiamo su un altalena, sul ciglio del burrone, sentiamo il vento in faccia, ma se guardiamo giù ci vengono ancora le vertigini.
cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non e’ inferno
Decidiamo allora che oltre a guardare su o giù, possiamo stare sulla soglia guardandoci ai lati e anche dietro. Trovare ogni minutissimo fatto, cosa, persona in cui riconosciamo un barlume di non inferno. Andiamo a cercare sotto la polvere, alla porta del nostro vicino, nell'ultimo cassetto del mobile, quello dimenticato. Ci muniamo di occhi e orecchie nuovi, una specie di radar ci guida lì dove l'energia continua a fluire, dove lo sguardo è ancora luminoso, vivo, denso, non timoroso.
e farlo durare
E ogni volta che troviamo il minimissimo sentore di questo passiamo le giornate a prendercene cura, ad alimentarlo. Buttiamo ponti con la bellezza e ogni giorno non dimentichiamo di attraversarli, uno ad uno, per vedere come stanno.
Ogni giorno preoccupandoci che l'indomani la fiamma sia in condizioni di bruciare ancora.

e dargli spazio.
E' a quel punto che iniziamo ad allargare le maglie. La crepa diventa un po' più grande, nuove energie fluiscono. I fili di fuoco che abbiamo trovato iniziano a brillare di luce propria, offrono calori mai sentiti, colori imprevisti, sorprese quotidiane, incontri inaspettati.

Allora, solo allora, scegliamo una radura, la ripuliamo, costruiamo una geometria di legna adatta a sorreggere e allo stesso tempo far respirare le fiamme. Ancora increduli  ammiriamo che, aldilà di noi stessi, il fuoco vive, è libero di costruire forme, vagiti scomposti di un nuovo modo di stare nell'inferno, non per essere consumati, bensì per ardere con altri.

(pubblicato dal Paese Nuovo del 7 giugno 2011)