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mercoledì 13 aprile 2011

Mi chiamo Omar

Resoconto poetico dello spettacolo "Mi chiamo Omar", tratto da un racconto di Omar Suleiman, per la regia di Luisa Guarro, presentato a Lecce al teatro Paisiello il 28 febbraio.


Odori.
Quello delle candele all'entrata del teatro tra caraffe smaltate e foto in bianco nero,
quello della pentola sul fuoco,
fumo che sale da un cantuccio del palco,
odori per descrivere un posto,
un luogo, o forse più d'uno,
la casa anche quando non è più casa
o quando non lo è ancora.
Una lucina flebile pende dal soffitto,
costruisce ombre nel viso di Omar,
l'attore, il protagonista,
raccontatore e raccontato,
che narra cucinando.
Una storia pacata, sotto un albero di ulivo di un villaggio vicino Nablus,
i profumi di un albero che non c'è più,
una casa non più casa
e un'altra non ancora.
Le donne che raccontano:
il coro delle madri e delle figlie
che marcano i momenti di una vita.
Quella di Omar.
La Palestina non c'è a parole,
vive negli odori, nei colori, nelle vesti, nelle musiche
nelle rughe di Omar che gli incorniciano gli occhi
trasformandoli in soli.
Una narrazione, semplice, quasi comune,
un velo in mezzo al palco che separa Omar dai suoi ricordi che prendono vita.
La terra-madre e poi l'esilio, in Italia, a Napoli.
Gli studi, la coscienza di appartenere,
pur non appartenendo del tutto.
Alla fine Omar, il raccontato, prende la parola,
non nasconde che ogni volta è doloroso raccontare,
di ciò che non c'è più.
E' un raccontare i ricordi per dare i contorni al presente.
Omar scende dal palco, si veste,
continua la sua storia nella sala della libreria Ergot mentre con le mani sgrana il cous cous.
Omar
il protagonista, l'attore, il cuciniere,
il viatico verso un piccolo mondo ospitale,
la vita di una persona, mani e mente,
che si donano.
Laddove la scena non basta e i gesti sono necessari.
L'umiltà del raccontarsi e di continuare a farlo
avendo cucinato per un'intera giornata e mettendosi a servire
cibo, storie, s-cene
a un pubblico che ormai non è più pubblico.
Il cibo è impastato, si muove,
entra e attraversa,
la trasmissione è compiuta,
la storia mangiata.

3 commenti:

luisa guarro ha detto...

altro che! "mi chiamo omar" oltre ad essere stato diretto è stato da me scritto! me luisa guarro in 6 mesi di lavoro non retribuito come d'accordo! ed è solo liberamente ispirato alla testimonianza orale di Omar Suleiman. L'equivoco (che dopo 30 repliche e una decina di articoli sbagliati non può essere più considerato un incidente) secondo il quale lo spettacolo è stato scritto da Omar, tradisce la memoria del mio lavoro e ne tradisce il senso, la costruzione: il mio è uno spettacolo sul miracolo della comunicazione, il telo rappresenta la mente di chi ascolta, la mente che evoca immagini rarefatte, di sogno, ombre, nell'impossibilità di eguagliare la realtà dei ricordi di chi racconta, pur incontrando "miracolosamente" la sua realtà emotiva"; il mio è uno spettacolo sull'universalità dell'uomo, nella sua unicità e diversità; la storia del mio Omar corrisponde vagamente ma anche puntualmente a quella di Omar Suleiman in quanto storia dell'uomo, mi spiego: le lettere alla madre, il dialogo con l'ombra lunga del padre, l'immagine della sposa bambina, tutto inventato da me, per significare la storia di tutti. ma questi intenti sono stati banalizzati e depauperati da quell'equivoco. Omar Suleiman non ha finanziato il proggetto, (quindi osservatorio palestina non presenta) e non ha scritto il testo dello spettacolo, ne alcun racconto da cui sarebbe stato tratto, è un'attore tra gli altri che si preoccupa di pubblicizzare il mio spettacolo lasciando passare da mesi informazioni sbagliate sebbene gli abbia più volte chiesto di fare in modo che ciò non accada. sarà distratto? luisa guarro

caracolita ha detto...

Cara Luisa,
questo scritto non nasce da informazioni sbagliate, nel senso che è stato scritto senza richiedere informazioni o pareri a omar, nè a nessun altro.
Non mi occupo di teatro, ma di racconti e cibo e il mio occhio va a questo. E' sicuramente una visione limitata, ma è l'unica che posso portare in questo momento, in attesa di migliorarmi.
Non aver precisato che ideazione e scrittura sono tuoi è stato sicuramente un mio errore, ma non sono giornalista, tanto che questo pezzo è comparso esclusivamente nel mio blog.
Ti ringrazio comunque molto per questo commento perchè mi invita a un' attenzione maggiore, a una cura diversa nello scrivere.
Spero comunque che la relazione con omar si risolva perchè il tuo spettacolo vale. Grazie, maira.

Simona ha detto...

Pensavo anch'io fossero parole (e dunque testo) di Omar Suleiman.
Spiegavo l'eccessiva artificiosità e letterarietà del testo, a volte cosi poco naturale da perdere di intensità, col fatto che venisse da uno straniero non proprio padrone della lingua, e che la usa quindi troppo scolasticamente, e un po' antiquariatamente, come si apprende a scuola. (in certi tratti, rasenta un vocabolario da libro Cuore).

Se non è cosi, allora fossi in te lavorerei per rendere il testo più vivo, più quotidiano, meno compitino da quinta elementare, prima di preoccuparmi se si tratti di una vicenda particolare o di una storia universale (e passi la "modestia").

La parte migliore è a mio avviso proprio la peculiarità della storia, il suo contenuto cosi forte e cosi dimenticato, la tragedia palestinese: sta li secondo me il valore e la ricchezza che lo rendono degno di rappresentazione, il testo in sè è abbastanza farraginoso, poco scorrevole. E anche le trovate stilistiche, a partire dal velo.....insomma, niente di nuovo.

Se posso dare un consiglio, lascia stare sull' universale, mi pare più utile e più importante raccontare una storia che nessuno oggi vuole ascoltare, piuttosto che cullarsi in voli pindarici tra gli archetipi.