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giovedì 21 luglio 2011

Lo scipione agitato. Cronaca del primo giorno di vita nuova dello Scipione Ammirato.

All'entrata sulla sinistra un busto di Scipione Ammirato sta appeso alla parete.
E' un busto anomalo, la testa ruotata da un lato, in direzione dell'entrata, occhi grandi e un sorriso benevolo in volto.

Così Scipione, ammirato, accoglie i Trasformati.
Nome che diede lui stesso a una sua commedia mai edita e al cenacolo che fondò a Lecce nel '500. Un luogo aperto dove poter discutere di tematiche varie.

Oggi in quelle stanze quindici persone stanno sedute attorno a un tavolo, facce sorridenti reticolo di contatti, arrivi, contributi, stimoli, percorsi.
Architetti, restauratori, precari e no che hanno scelto di essere parte attiva di un processo di rivitalizzazione di uno spazio.

Ricucire un senso abitabile da tutti in un luogo apparentemente chiuso.

Un luogo da rendere casa e spazio culturale pubblico, un meticciato fecondo, che possa accogliere e donare.

Due piani di pietra accecati dal sole, un giardino attorno, panchine in quel dietro che si vorrebbe rendere un davanti per togliere alla strada delle macchine il ruolo di maggiordomo e creare un'entrata più intima.

Un'entrata che non accolga soltanto artisti e visitatori ma che si apra ai palazzi intorno.
Torri alte e bianche issate su una distesa di cemento e separate dallo Scipione da una rete metallica.
Cercare un dialogo che innalzi l'ascolto, da terrazza a terrazza.
A dire se tra voi e noi c'è una rete ferrosa, noi possiamo comunque guardarci negli occhi a un altro livello.

Le persone del quartiere si fermano davanti al cancello aperto, sorridono, alzano lo sguardo incuriosite, chiedono. "Ma quindi lo riaprite? Lo fate tornare in vita? Tanto poi passo..."

Contatti che si creano su una soglia che fino a ieri era muro.

Il barista vuole sapere quello che è rimasto, suo padre anziano rimane zitto, quasi a bocca aperta quando scopre che i quadri che erano dentro non ci sono più, ma come? erano grandi? e i camini? i camini ci sono ancora?

Il senso di perdita non per i ladri entrati in casa, ma per un luogo pubblico spogliato senza che gli abitanti si accorgessero della sua nudità.

Una signora passa e si ricorda che una volta lei andava da una sarta che abitava al primo piano.

Un luogo che è stato cenacolo nel '500, casa privata, sede di una mostra negli anni Settanta di Verri e Dodàro.

Di ogni passaggio conserva una memoria invisibile.

Un luogo abbandonato non solo perché chiuso, ma perché ha abbandonato le storie che ci hanno abitato dentro e intorno.

Un luogo da far rivivere in un processo di architettura relazionale che dialoghi con le forme, ma anche con l'anima estesa di questo luogo, utilizzando materiali poveri, strutture flessibili, che si posino delicatamente su uno spazio denso di pietra e memoria.



La materialità della progettazione la incontri nel tardo pomeriggio accaldato con gli architetti seduti su matasse di tuboni grigi, che giocherellano seri con tubi più piccoli e colorati, e poi nella bacheca della stanza a piano terra.

Nella penombra fresca sfilano appese personalità diverse fatte a disegno, immaginazione progettuale che si traduce in linee, curve, planimetrie fumettate.

Allora lo Scipione diventa "masseria urbana", "fuoriuscita di materia".
Si trasforma in Scipione agitato che con lo sguardo sempre altrove, guarda basito tentacoli tubolari che gli escono da sotto, nonchè possibili rampicanti che gli fecondano la testa.

Agitazione immaginativa che affida storie nuove a pietre corrucciate.

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