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venerdì 2 settembre 2011

Montesano e le donne

Provo a scrivere, ma storie, facce e sensazioni mi corrono dentro come cavalli impazziti.
Fa caldo, il corpo è rallentato, dentro invece c'è il pieno.
Mi sembra impossibile  mettere pause tra i pensieri, spazi bianchi tra le parole, ma tento.
Mi verrebbe da parlare delle donne  di Montesano, di come ci sono e non ci sono,
ma poi c'è anche la chiacchierata di ieri con Enzo, il casellante della stazione ferroviaria di Montesano e poi Donato, l'elettricista che oggi mi ha offerto un caffè.
Inizio dalle donne. Già da ieri notavo che nei luoghi pubblici ce ne sono poche ferme, a sostare. Non le trovi nei gradini, nelle panchine, al bar.
Le vedi mentre puliscono come le signore di ieri che tiravano a lucido la casa del  parente svizzero, o come la signora di stamattina che ramazzava nel cortile esterno o ancora quella della chiesa di San Donato, che ha completamente ignorato la nostra presenza in gruppo, indaffarata a cercare in terra le macchie rimaste.
Le donne le trovi al supermercato o dietro al bancone del bar, quello accanto alla Villa, una signora paffuta con lo sguardo paziente o quello di fronte al supermercato, la ragazza brasiliana.
Ieri le ho viste passare in bici e oggi molte sedute nei cortili interni, al massimo le scorgi per qualche istante in piedi sull'uscio della porta di casa.
Mai nessuna fuori, seduta in spazi completamente aperti.
Unica eccezione ieri: le badanti dell'Europa dell'est probabilmente nel loro pomeriggio libero sedute nelle panchine vicino alla fontana fuori del vecchio cortile della Villa.
Si raccontano, fumano, si scambiano numeri di telefono.
C'è sempre una piazza in qualsiasi paese o città che fa da nodo, punto nevralgico aperto per donne chiuse in case non loro, a guardare vecchi non loro.
Diventano i luoghi delle confidenze, della ricerca di contatti per lavorare, delle risate, delle depressioni sfogate.
A parte loro, il paesaggio esterno è maschile, sono gli uomini, per lo più anziani che ti fermano, ti interpellano, si raccontano.
Ho come l'impressione che questa osservazione vada a toccare qualche nervo scoperto di tutto questo lembo di terra.
A me fa venire il bisogno di uteri spaziali, di anfratti ombrosi.
Si parlava oggi della luce di questi luoghi che mostra e si mostra, esplode in un certo senso, inonda, anche se non vuoi.
La sento e per contrasto vorrei scendere la scala di quella stanza che abbiamo visto anche ieri dalla strada principale.
Sopra c'è una scritta "Centro di ascolto di Montesano" e sotto si intravede una stanza buia  con collane di agli sul tavolo. Ieri mi sembrava di aver visto anche pomodori secchi o peperoncini che oggi non c'erano più.
Oppure mi sarebbe piaciuto rimanere seduta dentro all'odore di legno e umido che ho incontrato percorrendo uno dei vicoletti che dalla strada principale conducono a piccoli mondi altri.
Tra case semi rovinate e erba che esce dai mattoni ho incontrato la bottega del falegname. Sentivo i rumori da dentro, ma senza vedere nessuno; mi sarei voluta sedere, ma non ce l'ho fatta.
Ho ripreso la via principale e ho imboccato il vicolo successivo.
Un ragazza è uscita da una porta di legno, mi ha salutato e sorriso, bella.
Questa terra è piena di donne belle con il sorriso largo e gli occhi scuri.
Mentre stavo arrivando al centro del cortile, mi ha fermato un cane piccolo, brutto e rabbioso.
Dietro di lui è uscito il padrone con una scopa in mano, un signore corpulento con la tipica canottiera bianca a costine.
"Gli ho detto tante volte che quando entra una bella signorina non deve abbaiare".
La signorina sorride e torna indietro.
Ripenso all'essere donna, al mio e a quello di chi vive in questo paese del Salento.
Non faccio in tempo a finire il pensiero che vengo fermata da Donato.
Dice che mi ha visto scrivere e si chiedeva cosa stessi facendo.
Donato ha il negozio di materiale e elettrico e lampadari, ha lo sguardo dolce, parla con linguaggio lucido e sicuro.
Esordisce dicendomi che ci siamo allontanati dalla terra e che per questo siamo destinati alla decadenza.
Ha le lacrime agli occhi mentre mi racconta della figlia quarantenne che vive ad Arezzo, laureata, master, consulente finanziario, ma che ha ancora bisogno di essere aiutata dal padre settantenne.
Gli occhi gli si fanno lucidi mentre pronuncia la parola "sacrifici".
"Queste sono storie non parole", mi dice.
Elogiandomi a un certo punto Mussolini per aver distribuito la terra a chi non ce l'aveva e perché pur avendo sbagliato, non era morto arricchito, arriva alla stessa conclusione di Osvaldo, il compagno comunista incontrato ieri mattina.
L'appello a noi giovani per svegliarci. "Ribellatevi per le cose giuste! ci vuole l'idea buona di un uomo che guidi il popolo!".
E le donne? mi verrebbe da chiedergli, ma non lo faccio.
Vuole offrirmi un caffè al bar vicino alla Villa, da Pinuccio. Mentre bevo  sento gli sguardi degli uomini intorno.
Come ora che sono seduta a scrivere sulla panchina e non c'è uomo che passi senza guardarmi.
Più che voluttà sento spaesamento. Perché sta seduta da sola? Non è di qua? Cosa scrive?
Oggi si parlava nel gruppo del  Salento, dell'identità della tradizione. Parole che spesso rimangono vuote perché non scavano. Quando viene qualcuno da fuori il discorso finisce sempre lì. E' viva la tradizione o è solo rappresentazione?
La mia vicina saggia a Lecce mi diceva l'altra sera che le donne qua si sono salvate con la pizzica. Era lo sfogo di un male, per lo più mal d'amore.
E allora alla domanda su verità o rappresentazione credo che la risposta sia che nella rappresentazione c'è un bisogno reale, sempre quello, di guarire dal mal d'amore. Di sciogliere i nodi che l'essere donna o uomo al sud procura al corpo.
Faccio un salto indietro a questo punto e torno a Enzo, il casellante della stazione di Montesano. Faccia dolce, morbida su un corpo grassottello scurito dal sole.
Mentre aspettavo il treno mi ha parlato con parole d'amore del suo paese:  Specchia.
Della bellezza delle pietre, della gente che chiacchiera in strada, "una piccola Positano".
Mi ha descritto estasiato i monumenti più grandi di questa terra che secondo lui sono i tronchi degli ulivi secolari, i veri avi.
Univa in sé la passione per il suo luogo e quella per il viaggio.
"Mi piace osservare quando vado nei posti come si comportano le persone".Un paesologo perfetto, Enzo.
In pace con la sua terra, ma inquieto nel suo desiderio di andare.
"Se non avessi avuto una moglie sta sicuro che non starei qui, me ne andrei in giro".
Le gabbie del cuore, le grate ai desideri a volte le scegliamo, come Enzo, a volte forse non le vediamo neanche.
Come i vecchi e le signore di Montesano.
Se ne stanno ognuno al loro posto: agli uomini i gradini e i bar, alle donne gli usci e i cortili.
Al limitare del tramonto qualcosa cambia: osservo donne in gruppo che si avviano frettolose e zoppicanti alla Chiesa di San Donato, oggi è la novena. Nove giorni prima della festa del santo.
Risalendo la strada verso il cimitero, vedo una donna in una via interna seduta con la faccia al sole e i piedi all'ombra. Più avanti un signore e una signora stanno seduti nell'uscio di casa: l'uomo fuori e la donna subito dentro protetta dal vetro della porta finestra.
Per trovare un'anziana seduta nella strada principale devo arrivare alla fine della via, lì dove lo slargo si apre e le macchine corrono più veloci.
Ha i baffi la signora ed è un po' calva, provo a salutarla, ma mi guarda strano e non risponde.
Arrivo nel parchetto con l'anfiteatro e un bar con ombrelloni di paglia da mare, anche se il mare non c'è.
Chiedo un anice in ghiaccio al bar e mi siedo su una panchina.
Vedo una giovane donna seduta di spalle nella panchina di fronte alla mia e in quella a fianco una bimba seduta e impegnata in strani movimenti.
Capisco subito dopo che le due sono madre e figlia, si allontanano e mi lasciano definitivamente da sola. E' pieno di bambini, ragazzini, giovani, qualche anziano, tutti uomini, le uniche bimbe passano veloci in bicicletta.
Torno indietro, mi riaccoglie Donato. Mi siedo accanto a lui davanti al negozio di lampadari. Lì conosco il nipote con la maglia da superman e il cugino che sapeva a memoria le strade di Lecce. Donato saluta tutti quelli che passano. Un gruppo di uomini di fronte gli grida qualcosa del tipo: "Ah Donato, sempre in mezzo alle fimmine stati!".
Poco dopo escono tutte le signore dalla messa, passano davanti a Donato e, nessuna esclusa, si fermano a salutarlo. Chi un semplice saluto, chi qualche parola in più, a una Donato fa le condoglianze per la morte del marito e lei si allontana urlando "Cinque mesi sono passati!" in tono rassegnato.
Mi è sembrato di capire che una  signora dagli occhi azzurri, come il vestito che indossava, gli avesse fatto degli apprezzamenti diciamo più intimi a cui Donato ha risposto "Ah, mia moglie era la più bella". Ho immaginato che se lo siano conteso e che l'altra abbia vinto.
Alla fine Donato e il nipote mi indicano il personaggio famoso del paese Uccio, detto Uccio Show. Me lo presentano, è stato alla Corrida e a Uomini e Donne e ora si esibisce come spogliarellista nei locali salentini. Mi lascia il numero del cellulare, Uccio Show, un sexy simbolo, come si definisce.
Uccio ha gli occhi da bimbo su una faccia abbronzata e scavata. E' un po' più basso di me, muscoloso sopra e le gambe piccole avvolte da pantaloni colorati. Sorride di quei sorrisi tristi.
Penso allora che si forse è ancora così, vecchi e giovani hanno ancora bisogno che San Donato gli scacci il diavolo da dentro.
Quel male di vivere atavico, che non lascia libero il corpo e il cuore.
Si può guarire dal mal d'amore?
Ogni corpo è un paese e ogni paese trapassa il corpo e ci lascia scorie, entusiasmi, spasmi.

guardala, la terra è più tenera del cielo.
non restare tutta la vita
con le unghie conficcate nella tua anima
o in quella degli altri.
porta il tuo paese in testa
come si porta l’immagine dell’amata.

(Franco Arminio)


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